Un processo di adesione arrivato a un punto morto, voluto dalle élite, ma non dall’opinione pubblica. Due parti che devono fare una scelta, ma continuano a rimandarla per opportunismo o per ipocrisia. Asli Aydintasbas, Senior Policy Fellow dell’European Council on Foreign Relations ha spiegato a La Stampa quale sia la situazione di fatto nei rapporti fra Unione Europa e Turchia e come potrebbe evolvere nei prossimi mesi.

Nei giorni scorsi la Commissione Europea ha dato luce verde per l’inizio dei negoziati con Albania e Macedonia e annunciato che non verranno aperti nuovi capitoli con Ankara. Che lettura dà di questa scelta?

«Le relazioni fra Ue e Turchia sono entrate in una fase totalmente nuova e anche se il processo di adesione formalmente è ancora in piedi, nei fatti è congelato. Non c’è il volere politico di andare avanti. I Paesi dei Balcani hanno una posizione più favorevole circa l’ingresso in Europa rispetto alla Turchia e hanno una prospettiva europea. Quello con la Turchia è un processo di adesione nella forma ma non nella sostanza, un esercizio di ipocrisia».

Cosa dovrebbe fare la Ue?

«Dovrebbe chiedere alla Turchia di fare una scelta. O Ankara torna sull’agenda delle riforme o accetta che il sogno europeo sia finito. In questo caso, bisogna trovare nuove formule per mantenere le due parti in un allineamento strategico, per esempio per quanto riguarda l’upgrade dell’unione doganale e nuovi accordi bilaterali su politica estera e contro terrorismo. L’Ue dovrebbe dare un’altra chance al governo turco dopo le prossime elezioni, ma con termini ben precisi. Uno dei parametri ovviamente dovrebbe essere la fine dello stato di emergenza e la liberazione dei giornalisti in carcere. Se il governo non farà queste cose a sei mesi dall’inizio del suo incarico, allora potremo dire che la Turchia ha rinunciato al suo corso europeo per sempre. In quel caso, suggerisco di trovare alternative».

L’opinione pubblica nei Paesi europei non è favorevole all’ingresso della Turchia in Ue, perché secondo lei?

«La situazione dei diritti umani e una separazione sempre più marcata fra Islam e mondo laico adesso è un tema importante per l’opinione pubblica europea. La Turchia sta andando in direzione islamica mentre gli europei stanno diventando molto sospettosi sul fatto che Islam e democrazia possano coesistere. Il dibattito sui valori è la ragione principale per la quale la gente in Europa è contraria alla Turchia. La Turchia non rispetta i criteri di Copenhagen, la situazione è peggiorata dopo le elezioni. È impossibile non notare l’alto deficit democratico. In realtà, i maggiori sostenitori della Turchia in Europa sono le élite: i diplomatici, i burocrati, i governi, chi vuole continuare il processo di adesione per motivi strategici o economici».

Quando Ankara e Bruxelles hanno iniziato ad allontanarsi secondo lei?

«Sicuramente dopo il fallito golpe del 2016. Ma per essere molto precisa, è dal 2010 che non ho visto passi significativi. C’è stato un momento di sinergia quando la Ue ha negoziato l’accordo sui migranti e Ankara, furbamente richiese che venisse collegato ai negoziati di accesso. La colpa è di entrambe le parti. Penso che le rivolte di Gezi Parki nel 2013, abbiano cambiato la percezione del governo turco. In quel momento gli europei hanno perso interesse per l’allargamento e la Turchia per le riforme».

Asli Aydintasbas è Senior Policy Fellow dell’European Council on Foreign Relations

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