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Giornata della privacy, l'Europa è ancora indietro. Nel 2015 nuove regole

I rischi per la sicurezza personale e il caso Safe Harbor. Le direttive comuni per la protezione dei dati dovrebbero rimpiazzare una normativa vecchia di vent'anni

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NEL GIORNO della protezione dei dati dei cittadini, l'Europa si presenta all'appello con la promessa di nuove regole, qualche sfida persa, molte sorprese. Se la domanda è "possiamo sentirci davvero tutelati?", Bruxelles e Strasburgo a parole rispondono compatti che la fiducia dei cittadini è necessaria. Ma poi, parlano i fatti. E per citare un recente rapporto del think tank "European Council on Foreign Relations" a firma Anthony Dworkin,  la risposta europea al Datagate è confusa. E in definitiva "non è quella che i cittadini avrebbero potuto sperare". Con il Senato americano che ha bloccato la riforma dell'Nsa e con le trattative in corso sulla liberalizzazione degli scambi tra Usa e Ue, l'incubo sorveglianza è ancora reale.  Difficile per l'Europa scrollarsi di dosso l'etichetta di "european bazaar": così Edward Snowden definì il vecchio continente, i suoi Paesi che uno a uno "cedevano il fianco all'Nsa indebolendo le tutele". Eppure qualcosa, per i cittadini, si muove: con il 2015 nuove regole comuni per la protezione dei dati dovrebbero finalmente rimpiazzare una direttiva vecchia di vent'anni. Intanto dal Lussemburgo arrivano buone notizie per gli europei, grazie anche alla loro stessa intraprendenza. Vediamo cos'ha fatto e cosa farà l'Europa per tutelare i nostri dati, nell'era "dopo Datagate".

Nuove regole.
Proprio un anno fa, il Parlamento europeo pubblicava gli esiti dell'inchiesta guidata da Claude Moraes e condannava "la vasta e sistematica raccolta di dati personali di gente innocente". La commissaria Viviane Reding scriveva agli Usa denunciando che i diritti fondamentali erano a rischio. Lo slancio comune si è però scontrato con le posizioni estremamente differenti dei singoli stati, dalla Germania della "spiata" Angela Merkel alla Gran Bretagna partner "spiona" dell'Nsa. Ecco perché, ad esempio, nel gruppo di lavoro Usa-Ue su sorveglianza e privacy gli Stati hanno preferito fare prima le trattative bilaterali. La Commissione ha quindi provato ad agire su un fronte tradizionalmente comune, quello della regolazione commerciale. L'obiettivo non ancora raggiunto è quello di rinegoziare l'accordo Safe Harbor del 2000, grazie al quale le aziende americane riescono a trasferire i dati europei fuori confine, prestando di fatto il fianco alla sorveglianza. Ma i risultati sono ancora lontani, con il governo americano che si rifiuta di ricontrattare i punti più delicati del patto e l'Unione che minaccia di romperlo. Nel 2015 vedremo come andrà a finire, e soprattutto quest'anno si dovrebbe concludere l'iter per rimpiazzare la vecchia direttiva 95/46/EC. Al suo posto, un regolamento comune per la protezione dei dati, la "European Data Protection Regulation". Adeguare la legge agli sviluppi tecnologici, al mondo dei social e dei big data, non è l'unico obiettivo della riforma: soprattutto, lo scopo è quello di rafforzare le tutele sui dati dei cittadini europei (siano essi dati privati oppure riguardanti la dimensione pubblica), proteggendo anche nei confronti delle compagnie e organizzazioni che non hanno sede nell'Ue.

Più giustizia.
Ma bisogna allontanarsi da Strasburgo e Bruxelles, e spostarsi in Lussemburgo, per osservare alcune delle novità più interessanti.  Proprio dalla Corte di giustizia europea potrebbe arrivare quest'anno lo stop al tanto discusso Safe Harbor: è in corso infatti il caso portato avanti dal giovane cittadino austriaco Max Schrems contro Facebook. Le chance che sia lui ad avere la meglio sul colosso sono buone, se si considera che dalla Corte di giustizia europea sono già arrivati segnali importanti a favore della protezione dei dati. Si può dire che il Lussemburgo stia svolgendo un ruolo di avanguardia rispetto alle altre istituzioni europee, più condizionate dal variare di equilibri politici: nella primavera 2014 la Corte ha emesso due sentenze, una sul diritto all'oblio e l'altra sulla protezione dei dati personali. Proprio l'aula ha invalidato la direttiva del 2006 che imponeva la conservazione dei dati e consentiva ai governi l'accesso alle informazioni.  Una decisione che ha sollevato l'opposizione del premier inglese David Cameron, pronto ad approvare una legislazione d'emergenza per continuare a consentire la conservazione dei dati. Tuttora, e ancora di più dopo l'attentato a Charlie Hebdo, l'Europa sembra attraversata da due tensioni contrapposte. Da una parte c'è chi, come l'europarlamentare  britannico conservatore Timothy Kirkhope, intende far leva sull'allarme terrorismo per ripresentare la direttiva sulla registrazione dei dati dei passeggeri. O chi, come lo stesso Cameron, promette battaglia contro il criptaggio. Dall'altra parte, posizioni come quella della pirata tedesca Julia Reda, che fa leva sulla mancanza di controllo democratico sui servizi di intelligence per chiederne la dissoluzione, oltre a invocare lo stop alla sorveglianza. Ma tra Gran Bretagna e Germania, tra sicurezza e democrazia, non è detto che il gioco debba essere a somma zero. L'Europa si è sempre distinta per la sua legislazione a tutela dei diritti, e proprio dalla Corte potrebbe arrivare la risposta: più sicuri non significa meno protetti.