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Africa: la sovrapposizione di ambiti nella cooperazione regionale genera sprechi di risorse e mette a rischio la sicurezza

Amandine Gnanguênon, consulente del Consiglio Europeo per le relazioni estere, analizza la mancanza di coordinamento fra Cooperazione africana e i donatori internazionali
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ROMA - Già da prima dell’indipendenza i Paesi africani perseguono l’integrazione e la Cooperazione attraverso la creazione di organizzazioni regionali. All’indomani dei conflitti in Somalia, Liberia e Sierra Leone, e dopo il genocidio del ’94 in Ruanda, molte di queste organizzazioni hanno ampliato la propria agenda includendovi la prevenzione e la gestione dei conflitti, cui ha dato impulso la recente creazione dell’Architettura africana di pace e di sicurezza (APSA). Questo ha fornito loro maggiore visibilità internazionale, rendendo più agevole il sostegno finanziario di partner esterni quali Francia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti ed Unione Europea, sempre più interessati alla questione della sicurezza.

Manca il coordinamento per rendere efficaci gli interventi. Ma sebbene alcune organizzazioni africane rivestano un'importanza politica e operativa cruciale, manca un coordinamento in grado di modulare l’efficacia dei meccanismi messi in atto in tutto il Continente africano con l’impegno di donatori che perseguono propri scopi politici (si parla di lotta al terrorismo islamista e di migrazioni). E’ quanto sottolinea Amandine Gnanguênon, analista politica e visiting fellow dell’European council on foreign relations, un think-tank paneuropeo che conduce ricerche sulla politica dell’Europa in materia di sicurezza internazionale. Gnanguênon in questa analisi si occupa in particolare della situazione in Africa occidentale e centrale.

Il problema della sicurezza è prevalente. Tali organizzazioni (che negli ultimi vent’anni si sono moltiplicate e hanno esteso i loro ambiti) producono sovrapposizioni: ogni Paese dell’Africa occidentale e centrale appartiene in media a quattro di queste organizzazioni, mentre il Burkina Faso fa parte di otto organismi e il Niger di nove. Quando nel 1963 fu costituita l’Organizzazione per l’unità africana, all’indomani dei processi di indipendenza, la maggior parte dei raggruppamenti economici oggi operativi già esisteva; è il caso del Conseil de l’Entente, un'iniziativa a guida dei Paesi dell’Africa occidentale che intendeva promuovere una integrazione politica e culturale più stretta e dinamica.

L'Atto finale di Lagos. Visto il proliferare delle organizzazioni regionali, negli anni ottanta e nei primi anni novanta fu messa in atto una prima fase di razionalizzazione che si concretizzò nell’Atto finale di Lagos, ma che non produsse i risultati sperati. Il punto centrale era stabilire un unico raggruppamento economico per regione geografica (Ovest, Centro, Nord, Sud e Est, come stabilito dall'Organizzazione per l'Unità Africana - OUA nel ‘76), cosa che non si verificò. Alla firma del trattato di Abuja (1991), che delineava la cornice dell’integrazione economica, le comunità economiche regionali erano quattordici. A spingere il moltiplicarsi delle organizzazioni stanno sempre più contribuendo i problemi di sicurezza, che dominano su ogni altra considerazione.

Le disuguaglianze dilagano con la povertà estrema. . Molti di questi paesi sono alle prese con l‘estrema povertà, la disuguaglianza economica, la fragilità delle istituzioni, la disoccupazione, tutte serie minacce alla sicurezza, che si aggiungono alla rapida crescita demografica, alle crisi alimentari, al cambiamento climatico, al crimine organizzato, al jihadismo e oggi alla pandemia. I leader africani predicano da tempo la cooperazione politica e l’integrazione economica come indispensabili fattori di sviluppo, ma questo non e’ realizzabile senza costruire prima la fiducia tra gli Stati; e la proliferazione delle organizzazioni regionali comporta costi politici, sociali e finanziari. Negli ultimi anni il tema della sicurezza ha finito per avere la meglio su altre considerazioni spingendo in direzione di soluzioni militari, in conflitto con il mandato delle organizzazioni regionali, che legava indissolubilmente sicurezza, sviluppo e benessere della popolazione.

Organismi che si sovrappongono e competono. Il coinvolgimento delle diverse organizzazioni nel campo della sicurezza varia notevolmente: ECOWAS (la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale) e ECCAS (Stati africani francofoni) per esempio, si sono attrezzate anche per la gestione di operazioni di peace-keeping, mentre G5 Sahel e l’Iniziativa di Accra si occupano esclusivamente di sicurezza. Organismi che si sovrappongono e competono tra di loro. Innanzitutto molte organizzazioni sono di fatto in competizione l’una con l’altra, e certo non aiuta che la Conferenza dei capi di Stato, tenuta a incontrarsi ogni anno, si riunisca ogni due o tre, dilazionando cruciali decisioni in materia di sicurezza; questo le fa dipendere dai donatori internazionali, Unione Europea in testa, il che induce i Paesi membri a lesinare i contributi, mentre la UE appare sempre meno disposta a intervenire economicamente, per non essere trascinata nelle controversie regionali.

Un'Agenda fatta di interventi "mordi e fuggi". E l’agenda delle organizzazioni regionali appare sempre più focalizzata sulla difesa degli interessi nazionali dei diversi governi, più spinti a una hard security fatta di interventi “mordi e fuggi” piuttosto che a una strategia di lungo periodo, mentre le popolazioni vorrebbero politiche pacifiche e costruttive che soddisfino le pressanti necessità quotidiane. Questo fa sì che le organizzazioni regionali perdano credibilità a livello locale: quando appoggiano il dispiego di truppe, lo fanno intervenendo in conflitti che affondano le radici nella fragilità di Stati e governi interessati a mantenere il potere, e questo non fa che erodere la loro credibilità avvantaggiando jihadisti e criminali comuni: in molte zone dell’Africa occidentale e centrale che soffrono per la mancanza di servizi pubblici i governi centrali sono sempre più malvisti, a tutto vantaggio della guerriglia. Inoltre i governi tendono a promuovere organizzazioni regionali di cui non fanno parte rivali culturali politici o economici, come accade quando entra in ballo la persistente tensione tra paesi anglofoni e francofoni.

Il moltiplicarsi delle organizzazioni regionali. E' uno stato di cose che permette agli Stati di scegliere quali privilegiare tra loro: per esempio ECOWAS  in passato preferiva collaborare con ECCAS in materia di contrasto al terrorismo, ma su pressione della Nigeria ha gradualmente cambiato posizione, cominciando a sostenere LCBC (la Commissione del bacino del lago Ciad), mentre Mali, Niger e Burkina Faso si sono sganciati da ECOWAS costituendo G5 Sahel, una iniziativa militare congiunta che punta a contrastare le attività di gruppi islamisti che operano attraverso i confini di diversi Paesi, complice la natura desertica e montagnosa del territorio. Il complesso rapporto con i donatori internazionali. In un contesto in cui le organizzazioni regionali africane affondano le radici in ambienti diversi tanto dal punto di vista geografico che da quello storico, economico, politico, gli Stati africani sfruttano la loro presenza per perseguire il più possibile i propri interessi.

L'assenza di una strategia chiara. La maggior parte degli Stati europei guardano con pragmatismo alla proliferazione di queste organizzazioni, considerandole veicoli in grado di rafforzare la Cooperazione bilaterale, vale a dire il flusso diretto di risorse che va da fonti istituzionali del Paese donatore direttamente al Paese ricevente, da distinguere dall’Aiuto Pubblico Multilaterale che è invece il flusso di risorse che il Paese donatore destina ad organizzazioni internazionali specializzate in Cooperazione per svolgere attività capaci di promuovere lo sviluppo. Rafforzare i rapporti bilaterali, dunque, valutando se assegnare i finanziamenti caso per caso. Gli attori esterni, che rivestono un ruolo nello sviluppo di questi organismi, al momento non dispongono di una strategia chiara e complessiva nei loro riguardi.

Eppure storie di successo ci sono. Questo non vuol dire che non vi siano storie di successo fra le organizzazioni regionali africane: ECOWAS, attiva da oltre 40 anni, ha conseguito ottimi risultati nel rafforzamento dell’integrazione economica e nella difesa della pace in una regione particolarmente turbolenta come il Gambia, nel 2017. Ma l’attuale modo di procedere comporta due rischi: quello di rafforzare la rendita di posizione di chi detiene il potere e quello di ignorare le aspettative di riforma della popolazione. Privilegiare le competenze per non disperdere risorse. Da parte dei donatori internazionali, osserva Gnanguênon, si impone una analisi di questa cacofonia di voci che loro stessi hanno contribuito a creare, verificando se vi sia effettivamente un cambiamento positivo dalla loro prospettiva, da quella dei governi e da quella della popolazione, per la quale la sicurezza è la preoccupazione primaria.

Occorre un "accordo di non proliferazione". In seguito bisognerà congelare e quindi ridurre il numero di queste organizzazioni: un tacito “accordo di non proliferazione” fra donatori potrebbe essere un buon inizio, naturalmente di concerto con i partner africani. La terza fase dovrà incentivare la cooperazione nelle rispettive aree di specializzazione, per consentire ai donatori di sostenere gli organismi in base a competenze e risorse, invece che rispetto all’area geografica che occupano: istituzioni regionali specializzate nella sanità o nell’agricoltura, per esempio, consentirebbero un uso più mirato delle risorse.