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Questo articolo è stato pubblicato il 23 aprile 2014 alle ore 06:38.

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Fulminato da un proiettile nella battaglia della città armena di Kasab, Hilal al Assad è arrivato all'ospedale militare di Latakia che era già morto: una notizia che si è diffusa in un lampo nella città costiera, roccaforte degli alauiti e del regime, il porto più importante della Siria dove vengono imbarcate le armi chimiche del regime, all'86%, secondo l'Opac, già fuori dal Paese.
Hilal, 47 anni, è uno dei cugini di Bashar Assad che si ricandida alle presidenziali di giugno, un'iniziativa condannata dalla comunità internazionale, ma che appare in linea con quello che sta diventando la Siria dopo oltre tre anni di guerra civile e 150mila morti: una sorta di potentato medioevale dove la signoria principale degli Assad affronta bande di oppositori, mercenari jihadisti sostenuti dall'estero, eserciti di combattenti islamici dalle sigle mutevoli che tengono in ostaggio religiosi come padre dall'Oglio e almeno una trentina di giornalisti occidentali.
Il nuovo Medioevo siriano è impietosamente fotografato dallo stato dell'economia che fa intravedere quale sarà il futuro, con o senza Assad. Mentre in Turchia i profughi hanno raggiunto il milione, metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà e l'indice di sviluppo umano è regredito ai livelli di 37 anni fa. Si stima che anche con un tasso di crescita annua del 5% ci vorranno quasi 30 anni affinché il Pil torni ai livelli del 2010. Ma lo scenario può diventare ancora più fosco secondo Jihad Yazigi, che per 12 anni ha studiato da Damasco l'economia siriana stilando un rapporto per l'European Council of Foreign Relations: «Sullo sfondo del conflitto armato - dice Yazigi - si sta assistendo al dilagare di un'economia di guerra, alimentata direttamente dalla violenza e che allo stesso tempo favorisce la prosecuzione del conflitto».
Continuare a fare la guerra per fare più soldi è la tragica realtà siriana di oggi, un volto del conflitto che nelle cronache rimane in ombra ma condiziona il presente e il futuro del Paese. L'economia siriana ha attraversato almeno tre stadi di declino provocati dalla guerra civile, cominciando con l'imposizione di sanzioni per continuare con i combattimenti nei principali centri economici come Aleppo, fino alla conquista da parte dell'opposizione della parte Nord orientale, ricca di petrolio. Adesso siamo al quarto stadio. Il regime, con il sostegno esterno dell'Iran, degli Hezbollah libanesi e della Russia, ha resistito alle offensive dei ribelli e li ha messi sotto assedio: in queste aree sopravvive soltanto un'economia di sussistenza.
Anche l'opposizione ha fatto la sua parte per ridurre la Siria a uno stato pre-moderno. L'espansione dell'economia di guerra nelle zone dei ribelli è stata alimentata dagli scontri interni ai gruppi rivali per l'accaparramento di risorse redditizie come pozzi petroliferi e granai. Ma l'avanzata delle milizie governative e l'impatto delle sanzioni hanno creato nuove potenti reti dalla parte del regime e un numero crescente di gruppi su entrambi i fronti gode ora di significativi benefici materiali, un potente incentivo per prolungare gli scontri.
Con il collasso del sistema sicurezza si è costituita un "economi informale" fatta di saccheggi, rapimenti e contrabbando che è diventata l'unica industria funzionante. Stanno emergendo reti di commercio completamente diverse dal passato e spesso illecite, e con loro salgono alla ribalta gruppi e individui che soppiantano la tradizionale classe imprenditoriale: l'economia di guerra sta sgretolando la fabbrica sociale della Siria.
Hilal al Assad era uno degli esponenti di questa Siria. Da giovane era stato uno di fondatori della famigerata milizia Shabiha, in origine una rete di contrabbando con il Libano. Finite le restrizioni commerciali negli anni 90 aveva dovuto trovarsi nuove occupazioni, ma guerra civile e sanzioni avevano riportato alla ribalta il vecchio mestiere al quale aveva aggiunto quello di miliziano. Hilal esibiva una laurea in economia: «Non ho fatto mai un esame - diceva ridendo - ai test dovevo copiare le risposte esatte che mi passavano senza fare errori». Ma a Kasab ne ha commesso uno che gli è stato fatale: impugnare il fucile per difendere anche i suoi traffici.
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