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Siria, così muore una nazione

06 giugno 2014

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Notizie Medio Oriente e AfricaAl voto una Siria che muore di guerra civile

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Al voto una Siria che muore di guerra civile

Bashar AssadBashar Assad

C'è un Bashar per tutte le stagioni, in abito da statista, in alta uniforme da comandante supremo, vestito da sera, da uomo d'affari, con espressioni sorridenti o pensose, a seconda delle occasioni: davanti alla polizia militare - è questo è un dettaglio davvero sorprendente - fa bella mostra una gigantografia del presidente sponsorizzata con il logo e la firma di un sarto dal nome italiano, Mario Zegnoti. I suoi ritratti appaiono ovunque nella capitale ma anche nella città distrutta di Homs e persino all'ingresso di Yarmouk, tra le rovine del campo profughi palestinese, dove i lealisti combattono ferocemente contro la guerriglia islamica.

Non ci sono dubbi su chi devono votare oggi i siriani alle presidenziali e quale è il messaggio: riconfermare Bashar Assad alla guida di un regime deciso più che mai a rimanere al potere dopo che negli ultimi mesi ha conquistato importanti vittorie sul terreno. Importanti ma non sufficienti a controllare il Paese: Damasco stamane appare una città blindata e l'eco dell'artiglieria è una colonna sonora costante che accompagna i siriani alle urne che si sono aperte alle sette del mattino.

Il timore di colpi di mano della guerriglia e di attentati è forte, i ceck point sono stati rafforzati così come il controllo su tutte le comunicazioni, con i telefoni e Internet che nei giorni scorsi hanno subito lunghi black out in coincidenza con le operazioni militari e di sicurezza. Questa notte di vigilia delle elezioni, il centro della capitale, di solito comunque animato, si era svuotato in una sorta di cupa attesa, trattenendo il fiato mentre i colpi di mortaio e i razzi sconsigliavano di visitare non solo le zone periferiche dove si combatte ma anche il quartiere cristiano di Bab Tuma, nel cuore della Damasco storica, uno dei bersagli preferiti dei jihadisti.

L'opposizione e i suoi sostenitori arabi e occidentali hanno già definito una "farsa" questa consultazione, che per la prima volta vede in corsa altri due candidati - Maher Hajjar, deputato dell'ex Partito comunista e Hassan Nouri, ex ministro dello Sviluppo, che ha studiato negli Usa - a fare da comparse e che comunque si svolgerà soltanto nelle regioni sotto il controllo lealista, escludendo i tre milioni di profughi che hanno cercato rifugio nei Paesi vicini. Altri 6 milioni, invece, sono gli sfollati interni di questo conflitto esploso dopo la repressione delle proteste nel marzo del 2011 e che ha fatto in tre anni oltre 150mila morti.

Non ci sono ovviamente dubbi sui risultati. Il premier Wael al Halaqi ha già parlato di "giornata storica" e si è detto certo che ci sara "una partecipazione massiccia" al voto. La commissione elettorale ha annunciato che tra i circa 200 mila elettori registrati all'estero il 95% ha votato nei giorni scorsi presso le ambasciate siriane. Decine di migliaia si sono recati presso le sedi diplomatiche in Giordania e in Libano. E a Beirut le operazioni elettorali si sono trasformate in una grande manifestazione in favore di Assad che ha bloccato per ore il traffico della capitale libanese.

Sul sostegno di una parte consistente della popolazione ad Assad non ci sono dubbi. "Assad è il nostro leader e voterò per lui", dice Nadia Hanoun, originaria di un centro cristiano del Sud. Con lei a manifestare nella città vecchia, c'erano ieri altre giovani donne con dipinti sulle guance un cuore e un messaggio per il presidente: "Ti amiamo". "È la fine della primavera araba - dice uno studente - questo è un referendum contro il terrore".
Spaventati per la deriva integralista tra le file dei ribelli, i siriani - quelli rimasti vivi e nel Paese - si aggrappano anche al deludente Bashar Assad che aveva promesso di modernizzare l'autocrazia del padre Hafez, al potere dal 1970 al 2000, senza riuscirci e mancando clamorosamente tutte le riforme, politiche ed economiche.

La campagna elettorale per Bashar l'hanno fatta le violenze assurde e inconcepibili dei jihadisti e dei qaidisti di Jabat al Nusra e dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis): questi sono stati i principali fattori che nell'ultimo anno hanno rafforzato la posizione del governo e delle forze armate siriane sostenute dall'aiuto economico della Russia e da quello militare degli Hezbollah libanesi e dell'Iran.
Sul fronte opposto l'Occidente e gli sponsor turchi e arabi della guerriglia hanno fatto clamorosi errori di calcolo, come quello di pensare che Bashar Aassad e il regime alauita venissero spazzati via in pochi mesi. Così ai siriani è stata lasciata soltanto la scelta tra un regime improponibile e una guerriglia inaccettabile. Il prezzo è stato lo sgretolamento e l'assassinio di un nazione.

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