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Ingerenze arabe

Rolla Scolari

Emirati e Qatar non sprecano la crisi Covid-19 e lanciano una campagna di aiuti interessati

Più di 334 tonnellate di materiale a 32 paesi: sono i dati forniti il 29 aprile dall’agenzia per la distribuzione di aiuti internazionali degli Emirati arabi uniti. E da allora cresciuti: l’account Twitter di UAE Aid fornisce infatti ogni giorno i dettagli sulle spedizioni di forniture mediche per l’emergenza Covid-19 in Niger, Mali, Sierra Leone, Kenya, Iraq e decine di altri paesi. E Tunisia, Algeria, Ruanda e Nepal sono soltanto alcuni dei governi che nelle ultime settimane hanno ricevuto tonnellate di materiale medico-sanitario da un altro emirato del Golfo, il Qatar, attraverso l’agenzia che coordina gli aiuti umanitari, il Qatar Fund for Development.

 

Le due nazioni, meno colpite dalla pandemia rispetto ad altre nella regione, sia a livello medico sia a livello finanziario, sembrano intravedere nella crisi di questi mesi un’opportunità diplomatica, soprattutto nei confronti di un vicino indebolito dall’epidemia, l’Iran. Un’opportunità simile si era aperta durante una diversa crisi: quella finanziaria del 2008. Allora, mentre i paesi occidentali erano in sofferenza, sia Emirati sia Qatar contavano su riserve finanziarie significative, che hanno permesso loro di comperare nel mondo asset in sottoprezzo e offrire iniezioni di liquidità ad alleati in difficoltà, ci spiega Cinzia Bianco, ricercatrice presso lo European Council on Foreign Relations. Allora, “mentre gli occidentali perdevano capacità di spesa esterna, si aprivano spazi per Qatar ed Emirati in Nord Africa e nei futuri teatri delle Primavere arabe. Accade oggi qualcosa di simile. Allora, nessuno si rese conto di che cosa quel sostegno avrebbe significato dal punto di vista geopolitico, pensando che questi paesi non avessero una visione. Li hanno sottovalutati”. Gli stessi governi sono oggi tra i principali attori di crisi regionali, dalla Libia allo Yemen. “Adesso lo strumento non è quello finanziario, bensì medico-sanitario. Il punto è lo stesso: passeranno poi a chiedere il conto politico?”, si chiede Bianco.

 

Benché la narrazione regionale voglia i potentati sunniti in perenne scontro con l’Iran, da mesi Abu Dhabi cerca di smussare le tensioni che avevano raggiunto il culmine l’estate scorsa quando due petroliere emiratine erano state colpite nel Golfo dell’Oman. La comunità internazionale aveva accusato l’Iran. Così, proprio mentre Teheran diventava a inizio marzo il principale focolaio di coronavirus in medio oriente, gli Emirati offrivano all’Organizzazione mondiale della sanità i propri aerei per consegnare sette tonnellate di aiuti, e trasportare personale medico. Altri carichi sono poi arrivati dagli Emirati, e l’Iran ha fatto sapere come il coordinamento sull’emergenza abbia migliorato le relazioni con Abu Dhabi.

 

Affievolito da rivolte interne, dall’uccisione a gennaio del generale Qassem Suleimani, indebolito dal crollo sorprendente dei prezzi del petrolio e piegato dall’emergenza coronavirus, l’Iran è vulnerabile. E, per gli Emirati, non è più una minaccia, ma un’opportunità. “La strategia degli aiuti rafforza la narrativa di un paese che preferisce la via diplomatica, benché coinvolto in conflitti in Libia e Yemen – spiega Bianco - Si parla della possibilità di un rappresentante emiratino in Iran, non un diplomatico, per coordinare gli aiuti. Questo softpower compra loro un po’ di fiducia da parte degli iraniani per poter ripetere lo stesso in Iraq, Siria, Libano, aree d’influenza di Teheran”. Rientra in questo quadro la telefonata di Mohamed bin Zayed a un leader che in pochi hanno osato chiamare dall’inizio del sanguinoso conflitto siriano: il principe ereditario di Abu Dhabi ha da poco offerto sostegno a Bashar el Assad nell’affrontare la pandemia.

 

Anche il Qatar è attivo nella diplomazia sanitaria, ma più all’inseguimento rispetto ai vicini. Il piccolo emirato soffre ancora dalla crisi che nel 2017 ha creato divisioni con il resto dei paesi dell’area e con l’Arabia Saudita, anche a causa delle sue relazioni con il vicino Iran. Quando il virus si diffondeva veloce nella Repubblica islamica, l’emiro Tamim bin Hamad al Thani ha ordinato l’invio di sei tonnellate di aiuti. E il sito della Mezzaluna Rossa del Qatar riporta i dettagli delle ingenti forniture di assistenza medica a decine di paesi, molti dei quali africani. Da mesi però, ben prima dello scoppio dell’epidemia, Doha accelera la sua attività in Libano, “un paese politicamente complicato dove i qatarini, con la loro ambigua posizione politica, si muovono meglio degli emiratini”, spiega Bianco. Già nel 2019, prima che la crisi finanziaria libanese diventasse devastante, con l’irruzione del virus, Doha aveva investito 500 milioni in obbligazioni in dollari.

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