Angela Merkel (foto LaPresse)

Tutti i grattacapi di Merkel dopo le vittorie di Trump e Fillon

Marco Cecchini

La cancelliera è in una fase di ridefinizione delle proprie strategie. E i recenti risultati elettorali negli Stati Uniti e in Francia potrebbero aumentare le divisioni già presenti negli ambienti politici ed economici di Berlino

Nella cancelleria di Berlino fa bella mostra di sé una preziosa edizione di “Radioactivity”, un volume della scienziata Marie Curie che l’allora primo ministro francese Francois Fillon regalò ad Angela Merkel (dottore in Fisica) nel 2007. Ma la vittoria di Fillon alle primarie della droit è un bicchiere pieno solo a metà per la cancelliera di Ferro. La metà buona è data dall’approccio economico liberista di Fillon e dai suoi propositi di tagliare la spesa pubblica per riequilibrare il bilancio. L’altra metà riflette il suo strisciante euroscetticismo, i rapporti amichevoli con la Russia di Putin e la Turchia di Erdogan, le dure posizioni sull’immigrazione: tutti elementi di disturbo per la leader della Cdu, il cui entourage alla vigilia non negava la sua preferenza per il meno imprevedibile Alain Juppè. "Fillon è fautore del tipo di riforme economiche che piacciono alla Germania", hanno commentato dal German Council on Foreign Relations. Ma secondo un alto diplomatico tedesco citato dalla Reuters, "Juppè avrebbe potuto coagulare meglio i voti della destra e della sinistra contro Marine Le Pen".

 

La vittoria di Fillon coglie Angela Merkel in una delicata fase di ridefinizione delle proprie strategie. Il governo di Berlino è apparso scioccato dai risultati delle elezioni americane. Non solo perché inattesi, ma anche perché l’impatto potenziale sulle variabili di politica estera e di politica economica della nuova presidenza, se Trump manterrà fede al programma, appare molto forte. "Wir schaffen auch den" ("Ce la faremo anche con lui") ha titolato con sarcasmo la Bild all’indomani delle elezioni americane parafrasando la frase pronunciata da Merkel sull’emergenza rifugiati.

Ora la vittoria di Fillon aggiunge al quadro un elemento di ulteriore incertezza. Rispetto ai problemi posti dal trumpismo, alcuni distinguo sembrano dividere il mondo della politica da quello dell’economia della Germania e, all’interno di quest’ultimo, il settore finanziario da quello industriale.

Per la cancelliera (ricandidata al quarto mandato) il problema numero uno posto dall’ascesa di Trump non è tanto l’abbrivio che essa può dare alla Afd (Alternative fur Deutscheland) della leader populista Frauke Petry, bensì il rischio di un asse Trump-Putin che la emarginerebbe. Le previsioni danno Merkel vincitrice alle elezioni del prossimo ottobre, un po’ per mancanza di alternative, un po’ per la logica dei numeri (salvo che Afd non diventi il primo partito, qualunque coalizione vedrà protagonista la Cdu). E la cancelliera è già entrata in campagna elettorale con la promessa di aumentare le pensioni ai tedeschi dell’est. La doppia prospettiva evocata da Trump di sganciarsi in una qualche misura dai vincoli Nato e aprire un dialogo diretto con Putin ha invece del tutto spiazzato Berlino, che finora è stata in prima linea sulle sanzioni economiche alla Russia e nel contenimento delle mire espansionistiche di Mosca sul suo fianco occidentale. "La priorità per Angela Merkel oggi è come muoversi nel nuovo scenario est-ovest che si va delineando", spiega Daniel Goffart, vicedirettore del settimanale Focus.

Garantire la sicurezza propria e quella dei paesi dell'Europa orientale vicini senza l’appoggio americano è impossibile. Merkel ha annunciato che la spesa militare tedesca, oggi pari all’1,2 per cento del pil contro il 3,5 americano, salirà progressivamente al 2. E’ una mossa conciliante verso il nuovo presidente americano, "ma è anche il segno che la cancelliera vuole preparare l’opinione pubblica a uno scenario in cui la Germania dovrà giocare da leader", dice Almut Moller dell’European Council on Foreign Relations.

Per le imprese, che hanno mal digerito le sanzioni a Mosca, la preoccupazione maggiore del dopo Trump è invece quella del protezionismo. Il volume dell’export tedesco è pari a circa 1,4 miliardi di euro annui. Gli Stati Uniti sono per la Germania il primo mercato di sbocco e da esso dipende un milione e mezzo di posti di lavoro. Il libero scambio e il multilateralismo sono un imperativo per il made in Germany. Secondo il presidente della Bdi (la Confindustria tedesca), Ulrich Grillo, "se Washington dovesse alzare le barriere commerciali che Trump ha annunciato i danni sarebbero enormi". Già prima delle elezioni la Bdi aveva denunciato la recrudescenza del protezionismo nell’ambito del G20 attraverso un crescente ricorso all’imposizione di barriere non tariffarie. Ora deve fare i conti con la prospettiva dei dazi e l’affossamento degli accordi multilaterali come il Ttip (l'accordo commerciale transatlantico).

Il discorso è invece diverso per il mondo finanziario. Anche se le reazioni a Trump sono state altrettanto preoccupate ("Continua l’autodistruzione dell’occidente" secondo l’economista di Commerzbank, Jorge Kramer) gli interessi potrebbero non collimare. Non tanto perché la Deutsche Bank, come scritto dal Wall Street Journal, è l’istituto di riferimento del presidente americano. Ma perché le banche tedesche vedono delinearsi, con l’elezione di Trump, la prospettiva di una graduale uscita dall’èra dei tassi zero e della redditività in discesa, contro la quale hanno ferocemente combattuto in polemica con la Bce.