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Esteri

Libia al voto per il nuovo Parlamento. Nel Paese in preda alle milizie la fotografia di una transizione fallimentare

reuters
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Così vicina, così legata alla nostra storia e al nostro presente, eppure così incompresa. O meglio, dimenticata. Nell'indifferenza nostra e della comunità internazionale, una Libia di nuovo sull’orlo della guerra civile torna a votare per scegliere un nuovo Parlamento. Un Parlamento che avrà sede a Bengasi, dove bombe e attacchi sono all’ordine del giorno, echi della lotta del tutti contro tutti che separa milizie e clan.

Il voto servirà a scegliere i 200 membri della Camera dei Rappresentanti, che prenderà il posto del Congresso generale nazionale e dovrà poi organizzare le elezioni presidenziali, ultima tappa di un “processo di transizione” che al momento attuale può essere definito in un unico modo: un fallimento. Tutti i candidati si sono presentati come indipendenti, visto che l'attuale legge elettorale non permette la presentazione di liste collegate a partiti.

Per andare a votare si sono registrati solo un milione e mezzo di libici, rispetto ai quasi 3 milioni e mezzo degli aventi diritto. L’affluenza si annuncia bassissima, con intere aree dell’est in cui è impossibile votare a causa delle violenze. Si tratta delle terze elezioni nazionali dalla caduta della dittatura di Muammar Gheddafi avvenuta con l'uccisione del raìs nella guerra civile del 2011: le prime parlamentari si erano tenute nel 2012, mentre nel 2013 era stato eletto un panel di 60 membri per redigere la nuova Costituzione.

Nessuna consultazione, finora, è servita a stabilizzare il Paese. La debolezza di esercito e polizia ha fatto sì che tutti i governi post-Gheddafi dipendessero dalle milizie per garantire la sicurezza. Al punto che oggi sono proprio queste milizie, emerse principalmente dai gruppi di ribelli che combatterono contro Gheddafi nel 2011, a costituire il principale potere del Paese.

Sul campo a fronteggiarsi oggi sono due “schieramenti” principali. Il primo, sponsorizzato soprattutto da Egitto e Arabia Saudita, è guidato dal generale in pensione Khalifa Haftar, e conta in particolare sulle milizie di Zintan. Come sintetizza Lucio Caracciolo su Limes, una sua vittoria in quella regione significherebbe il passaggio della Cirenaica sotto l’Egitto, ossia l’accesso del Cairo agli agognati idrocarburi che lì si trovano. Un bottino che fa gola al regime di al-Sisi, che potrebbe persino avventurarsi in un intervento militare. Dall’altra parte ci sono le milizie di Misurata e gli islamisti di Ansar al-Sharia, su cui è nota l’influenza dei Fratelli musulmani.

Oggi la tensione è alta a Bengasi, la seconda città più grande del Paese, dove il generale Haftar e le forze sue alleate stanno portando avanti un'offensiva contro le milizie armate. A Bengasi ci sono scontri quasi quotidiani, con attacchi bomba in diversi quartieri e aree residenziali. Nelle ultime settimane le forze di Haftar hanno bombardato i campi delle milizie islamiche, che in risposta hanno attaccato a loro volta. C'è stato anche un tentato assassinio del generale in pensione, che però è rimasto illeso mentre altre quattro persone sono morte. Il generale ha avvertito che intende arrestare i deputati islamisti, accusandoli di finanziare le milizie alle quali lui attribuisce gran parte della responsabilità del caos libico. I politici islamisti, dal canto loro, accusano Haftar di avere lanciato un colpo di Stato.

In tutto ciò, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu spera che il voto possa essere un “passo avanti” per far uscire la Libia dal caos del dopo Gheddafi. Nei fatti, però, l’unica speranza concreta della comunità internazionale è di individuare finalmente un interlocutore legittimo, ossia un governo abilitato da un Parlamento eletto. Un governo – in soldoni - capace di firmare gli accordi utili a legittimare l’esportazione del pregiato greggio libico. Peccato che le probabilità di successo dell’impresa siano estremamente scarse. Come sottolinea Mattia Toaldo dell’European Council on Foreign Relations, infatti, “le elezioni potrebbero accelerare la violenza”, e gli eventi dei giorni scorsi ne sono la prova.

Leggi anche:Libia nel caos: Parlamento liquidato, forze speciali pronte a combattere. Raddoppiati gli aerei Usa a Sigonella

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