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Esteri

Libia, Gentiloni avverte Tripoli: "Chi boicotta l'accordo sarà isolato". Al Hayat: "Sequestro italiani a scopo estorsione"

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"Invitiamo tutte le parti libiche a condividere l'accordo. Chi si sottrarrà avrà una reazione di isolamento da parte della comunità internazionale”. A due giorni dal rapimento dei quattro tecnici italiani della ditta Bonanni, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni - che oggi ha ricevuto alla Farnesina l’inviato speciale Onu per la Libia Bernardino Leon – manda un messaggio ai due governi e alle centinaia di milizie e gruppi armati che oggi compongono ciò che resta della Libia.

Che si tratti di un ‘semplice’ sequestro a fini estorsivi, di una rappresaglia per la lotta ai trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo, oppure di un avvertimento in stile ‘mafioso’ per il ruolo dell’Italia nel raggiungimento di un governo di ‘unità’ nazionale, l’Italia non ha alcuna intenzione di rivedere la sua linea, né in un senso né nell’altro.

Nessuna cautela aggiuntiva, dunque, nel perseguire un accordo a cui aderisca il maggior numero di attori possibile - compresi i falchi delle milizie più radicali - e nessun salto in avanti verso un intervento che - se ci sarà - "avrà bisogno di una risoluzione Onu o di una richiesta del Paese sovrano, o di entrambe le cose" (le parole sono del ministro della Difesa Roberta Pinotti). Secondo il quotidiano panarabo al Hayat, la pista più accreditata è quella del sequestro a scopo di estorsione.

Il mantra del ministro è ispirato alla cautela. “Dare interpretazioni politiche sul movente del sequestro è prematuro e imprudente" – spiega Gentiloni - poiché siamo solo nella "fase iniziale". Secondo il titolare della Farnesina, questo "non è il momento per esercitarsi su retroscena difficili da individuare", ma è necessario "mostrare il volto di un Paese unito, l'Italia, che ha fiducia nelle forze della sicurezza, della diplomazia e dell'intelligence impegnate già da domenica sera a fare il massimo per individuare e riportare a casa i quattro tecnici rapiti".

(Continua a leggere dopo il video)

Italiani rapiti, Gentiloni: "Dare interpretazioni politiche è prematuro e imprudente"

Gentiloni e Leon concordano sul fatto che l’intesa trovata lo scorso 12 luglio – a cui manca l’adesione del governo islamista di Tripoli – sia “un primo passo importante”, anche se molta strada resta ancora da fare. Gentiloni ha ribadito l’invito “a tutte le parti libiche” a riconoscersi nell’accordo. "Il primo passo che chiediamo a tutti di fare, intanto, è quello di riconoscersi in questa intesa. Lo chiediamo nell'interesse del popolo libico, che vuole la fine delle ostilità, frenare i rischi di diffusione del terrorismo e riprendere il cammino di stabilizzazione, ricostruzione e sviluppo economico".

Nei prossimi giorni, dunque, l’impegno dell’Italia resta lo stesso: favorire il coinvolgimento ulteriore di forze che non hanno siglato l'accordo. A cominciare proprio dal Congresso nazionale generale libico, cioè dal Parlamento di Tripoli non riconosciuto internazionalmente. “La comunità internazionale scommette su questa intesa – insiste Gentiloni - e la discussione deve svolgersi sugli allegati. Il messaggio è un invito a tutte le parti libiche a unirsi a questo percorso condividendo la sigla di questo accordo e poi partecipando al successivo negoziato sugli allegati che dovrà definire i contorni di un futuro governo di unità nazionale".

Con il fiato sospeso per i quattro operai rapiti, si pensa a provare al dopo accordo. Una fase in cui – assicura Gentiloni – “l’Italia darà un contributo importante”. "Siamo come si dice in gergo una 'framework nation', cioè un Paese che lavora per mettere insieme le diverse componenti. Innanzitutto sul tema della sicurezza. Rendere sicuro il percorso che si aprirà in Libia dopo la nascita del governo non significa immaginare spedizioni di migliaia di uomini in Libia. Ma fare un lavoro molto sofisticato, preciso, di training, monitoraggio e sorveglianza che le nostre forze armate stanno preparando insieme agli alleati e che però dipenderà molto dalle richieste libiche. Sarà un lavoro che faremo rispondendo alle richieste del nuovo esecutivo".

Secondo Mattia Toaldo, analista che a Londra lavora per l'European Council on Foreign Relations, si tratta di un banco di prova cruciale per i nostri servizi. “Finora abbiamo giocato una partita basata soprattutto sul dialogo e la conoscenza delle varie parti coinvolte”, spiega all’HuffPost. “Essendo il Paese che in Libia ha più conoscenze in assoluto, abbiamo puntato sul far avvicinare le tribù locali. Il guaio però è che oggi in Libia i contorni sono più sfumati che mai”, continua Toaldo. “Nella zona in cui sono stati rapiti gli italiani esiste di tutto: organizzazioni criminali semplici, milizie islamiste e una minima presenza di Daesh (lo Stato islamico, ndr). I tre soggetti non sono necessariamente separati tra loro. Un soggetto potrebbe aver eseguito il rapimento per poi scambiare gli ostaggi. I confini tra bande criminali e milizie sono molto labili. È difficile, in un contesto del genere, avere delle certezze”.

Dopo l’accordo – se davvero ci sarà un accordo – la situazione cambierà davvero? Secondo Toaldo, “la questione della sicurezza sarà risolta solo dai cessate-il-fuoco locali concordati tra le varie città, e dunque da capi tribù, consigli comunali, leader delle milizie e così via”. La missione di sicurezza internazionale che potrebbe seguire l’accordo rischierebbe anzi di radicalizzare le frange più estremiste. E offrirebbe un’occasione all’esercito nero del Califfato di dipingere le forze di sicurezza italiane e internazionali come portatrici di una nuova ondata di colonizzazione. Con un conseguente carico di odio i cui effetti sono impossibili da prevedere.

Libia, Gentiloni: "Tutte le parti condividano accordo, chi non lo farà sarà isolato"

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