Un mese di proteste polacche ha costretto l’Europa a cambiare, ma non è detto che riesca a cambiare la Polonia. Per le donne che scendono in piazza dal 22 ottobre contro il verdetto della Corte costituzionale che ha provato a togliere la possibilità di abortire in caso di gravi malformazioni del feto, questo giovedì l’Europarlamento ha approvato una risoluzione che non è solo in loro difesa. Afferma il diritto per tutte le europee di abortire: dice che l’Ue deve pretendere da ogni stato l'esercizio di questo diritto. L’iniziativa dei socialdemocratici ha unito verdi, liberali, sinistra e un’ampia fetta di popolari. La più grande manifestazione di dissenso in Polonia dai tempi della caduta del comunismo ha l’effetto di far avanzare il dibattito sui diritti in Europa. Più difficile da determinare è l’esito che avrà nel paese. Non si tratta di dissenso estemporaneo, e in gioco non c’è più solo l’aborto. Si tratta di un terremoto. Ampiezza, diffusione e durata delle proteste in corso da oltre un mese hanno una ragione profonda: la società si trasforma assai più rapidamente della sua classe politica; perciò, ogni scenario è possibile. La società ringiovanisce: una fetta sempre più ampia di giovani, e di donne, non si riconosce in una élite di governo cattolica, ultraconservatrice, disposta a sacrificare l’appartenenza all’Ue pur di mantenere il proprio assetto di poteri, e che rincorre la destra estrema. La classe politica, invece di dare voce a una società europeista e secolarizzata, invecchia e si radicalizza ancora di più. Il rifiuto di Jaroslaw Kaczynski, leader del Pis, che è il principale azionista di governo, di aprire la strada alla sua successione, sta mettendo il partito (e lui stesso) all’angolo, ricattato dall’estrema destra. In più, nell’opposizione non esiste ancora una forza politica in grado di rappresentare pienamente la metà di Polonia che non si riconosce nella destra reazionaria. Per paradosso, un esito possibile dell’instabilità politica è che il paese viri ancora più a destra.

(A sinistra, il leader del Pis, e vicepremier, Jaroslaw Kaczynski. Al centro, il premier Mateusz Morawiecki. Foto LaPresse)

Le forze reazionarie

Dai primi anni Novanta l’aborto è permesso solo in caso di violenza sessuale, incesto, gravi anomalie del feto e pericolo per la vita della madre. Negli ultimi anni il governo conservatore ha tentato di restringere ancora di più il diritto, su effetto di tre spinte: la prima, e più potente, dalla chiesa polacca. La seconda, da organizzazioni pro life come Ordo Iuris, che fa parte del Congresso mondiale delle famiglie, network finanziato da oligarchi vicini a Putin. Ordo Iuris ha ispirato Kaczynski nel 2016, quando ha provato a restringere ulteriormente il diritto all’aborto. All’epoca, le proteste di piazza hanno sabotato il piano, ma è rimasto nel cassetto. Il 2020 è l’anno della terza spinta, quella della destra estrema e in particolare di Zbigniew Ziobro. Il rifiuto dell’anziano Kaczynski di cedere il controllo sul partito ha portato a una faida interna: per anni Ziobro ha provato a conquistare il vertice del Pis, fino alla rottura con il vecchio leader e alla nascita di un suo partito, più estremo; ora è l’elemento della coalizione di governo che la rende instabile. Ziobro “polarizza”: è per il veto sui fondi Ue, è contro i diritti Lgbt e delle donne. La spinta di destra ha stimolato il pronunciamento della Corte, i cui membri sono “graditi” al governo, proprio per quella violazione dell’equilibrio di poteri, e quindi dello stato di diritto, oggetto di tensioni nella Ue. Dopo le proteste della società civile, il governo non ha recepito il verdetto della Corte; ma, a conferma della sua ingerenza sull’organo giudiziario, lo sta influenzando ora che vanno stilate le motivazioni della sentenza. Le vuole in linea con la proposta di legge del presidente, Andrzej Duda, in quota Pis: consentire l’aborto per alcune malformazioni del feto (non, per esempio, la sindrome di down).

(Proteste a Varsavia. Foto LaPresse)

Anatomia di un movimento

«Continuano a sottovalutare le proteste, intanto il paese è sempre più scontento: pure la gestione della seconda ondata di Covid-19 è pessima», dice Magda Biejat, parlamentare di sinistra (Razem). Le proteste iniziano spontanee. Flash mob, blocchi delle città. «Oltre alle femministe partecipano pure tanti uomini, e poi ci sono i gruppi già attivi per i diritti Lgbt, i ragazzi dei Fridays for future: le lotte si stanno coalizzando», dice l’attivista Weronika Smigielska. Vanno in piazza pure le “nonne”, ci sono signore che nel 1944 parteciparono alla rivolta di Varsavia, e poi c’è proprio un “movimento delle nonne polacche”, la cui leader è Iwonna Kowalska. Ma «rispetto al 2016 è cresciuta molto la partecipazione di giovanissimi, alcuni neppure maggiorenni»: generazioni che non si riconoscono in un governo ultracattolico e conservatore, «anacronistico». Con il passare dei giorni in piazza compaiono pure gli agricoltori infuriati con il Pis, che di recente per difendere i diritti degli animali ha messo a rischio i loro interessi. Nel giro di un mese, «il consenso verso il Pis declina, mentre quasi nove polacchi su dieci sono favorevoli alle proteste», dice il giornalista Adam Leszczynski.

«Ora il movimento attraversa la fase più rischiosa: quella in cui si istituzionalizza». Lo Sciopero delle donne (#Strajkobiet), uno dei gruppi che hanno dato vita alle proteste e la cui leader è Marta Lempart, ha creato un comitato direttivo con tanto di «esperti in cambi di regime». Ha un manifesto, e non riguarda più solo l’aborto, ma clima, istruzione, temi sociali. Non c’è più in ballo solo un diritto. «Non direi che le proteste siano anti sistema: chi va in piazza vuole un sistema, e che sia democratico, dentro l’Ue. Piuttosto, sono proteste contro l’élite politica attuale», dice la filosofa Magdalena Środa. «E la novità è che non riguardano solo le grandi città ma pure le piccole, di campagna. Mentre la società si emancipa, la classe dirigente ci vorrebbe fermi a un’altra epoca». Dove porterà lo slancio di piazza? «Questo stato è autoritario. Temo che vada a finire male, nel sangue».

(Marta Lempart, leader dello Sciopero delle donne. Foto LaPresse)

La svolta difficile

Più il movimento ha iniziato a far paura al governo, coi suoi flashmob organizzati via Telegram, più il governo ha provato a far paura al movimento: Kaczynski ha piegato le resistenze del capo della polizia e ha imposto la linea dura. Da metà novembre «ci hanno identificate e portate nella stazione di polizia perché esibivamo dei cartelli», dicono le attiviste Lana Dadu e Magdalena Dropek. Poliziotti dell’antiterrorismo in borghese si infiltrano nelle proteste, usano spray al peperoncino e manganelli, accerchiano i manifestanti. Gettano a terra le “nonne”, arrestano giornaliste come Agata Grzybowska che pure esibiva il tesserino. La repressione non è solo fisica: il ministro dell’Istruzione minaccia ritorsioni contro professori e studenti che vanno in piazza; le studentesse per protesta si incollano ai cancelli del ministero. Ora «arriva l’inverno e la gente è stanca», dice Smigielska. L’onda di dissenso finirà congelata? Il nodo è soprattutto uno: non esiste ancora in Polonia una forza politica rappresentativa delle istanze della piazza. Piattaforma civica è un partito di centrodestra in cui convivono posizioni più liberali e più retrive; è contro la sentenza ma non appoggia il diritto all’aborto. La sinistra, che lo sostiene, ha percentuali esigue. «Con le femministe istituiremo un comitato per raccogliere 100mila firme e far arrivare in parlamento, in primavera, una proposta civica di legge per il diritto all’aborto», dice la parlamentare di sinistra Biejat. Ma chi la voterà? Le donne non hanno sponda. Dall’altra parte, dice Piotr Buras dell’European council on foreign relations di Varsavia, «Kaczynski è all’angolo: non può cedere sui valori conservatori; lascerebbe il campo a Ziobro». Perciò nel medio periodo, se anche il governo non reggesse al dissenso, esiste l’ipotesi che ciò vada a favore della destra più estrema. «L’indipendente Szymon Hołownia che ha preso il 13 per cento alle presidenziali, è un cattolico ma moderato: può aiutare il paese a uscire dal vicolo cieco» dice il giornalista Leszczynski. «Ma Kaczynski è un survivor, non escludo sopravviva anche stavolta». Tra destra estrema e moderata, c’è la terza strada: una politica ringiovanita e rigenerata. Ma quella non basta un mese per farla.

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