EMIGRAZIONE E LAVORO

La fuga dei giovani è la nuova paura

di Federico Fubini

La fuga dei giovani è la nuova paura

Alcuni dei governi europei più ostili all’immigrazione hanno dietro di sé elettori impensieriti da un fenomeno un po’ diverso: i loro amici e i loro familiari che, anno dopo anno, gettano la spugna e vanno all’estero. Per numeri crescenti di italiani, polacchi, ungheresi — ma anche di spagnoli o rumeni — l’emigrazione dei propri connazionali preoccupa più dell’arrivo degli stranieri. Nel caso dell’Italia, sono due su tre gli abitanti che vedono nella fuga dei propri giovani all’estero una minaccia superiore o almeno altrettanto grande rispetto all’immigrazione. Qualcosa si sta muovendo in profondità negli umori del Paese e dell’intera fascia di fragilità sociale lungo il fianco sud e orientale dell’Unione europea.

Ma la politica, di governo e opposizione, per ora non sembra in grado di capirlo e non riesce a dar voce alle nuove paure dei cittadini. Almeno questo emerge in un sondaggio che, per la prima volta, pone agli elettori in Italia e in altri tredici Paesi dell’Unione una domanda impensabile fino a pochi anni fa: è più l’immigrazione o l’emigrazione che li tiene svegli la notte? L’indagine è condotta fra fine gennaio e fine febbraio su 46 mila europei (dei quali 5 mila italiani) da YouGov per conto dello European Council on Foreign Relations. E i risultati fanno emergere ragioni di stress fra gli elettori che non rispecchiano gli slogan della campagna elettorale per le europee. In Italia il 32% degli elettori è più preoccupato dall’emigrazione dei connazionali, mentre solo il 24% lo è per l’ingresso di sempre nuovi stranieri. In Romania, che vede ormai un quinto della popolazione all’estero, il rapporto è di 55% a 10%. In Ungheria il 39% è più impensierito dall’emigrazione dei propri figli e solo il 20% lo è dall’immigrazione: poco importa che dell’ostilità agli stranieri Fidesz, il partito al potere, faccia ormai la propria ideologia ufficiale. Persino in Spagna, malgrado anni di ripresa, coloro che sono più impensieriti dalla fuga all’estero dei propri connazionali sono il doppio rispetto all’altro gruppo. E in Polonia, anch’essa guidata da un governo dagli accenti xenofobi, la dinamica è simile. È come se gli elettori in Italia e altrove stessero cercando di dire ai loro politici che le linee di frattura non sono quelle fra sovranisti e liberali di cui molti parlano. Emergono paradossi invisibili al dibattito fra partiti, assenti dai talk show della sera.

Gli stessi leader che in Europa si sono imposti promettendo di «chiudere le frontiere» oggi si vedono chiedere dai cittadini di fare esattamente quello. Solo, per la ragione opposta: impedire ai giovani di andarsene altrove, tenerli vicino a sé. Il 52% degli italiani, il 50% dei polacchi e il 49% degli ungheresi si dichiara a favore di «misure che impediscano ai connazionali di lasciare il Paese per lunghi periodi come risposta all’emigrazione». Vorrebbero fermarli, chiuderli dentro, non essere lasciati indietro in periferie urbane sempre più popolate di anziani e di appartamenti vuoti. Gli ultimi dieci anni evidentemente hanno lasciato il segno nella coscienza degli elettori. Secondo l’istituto statistico Istat sono 738 mila gli italiani emigrati all’estero fra il 2008 e il 2017. Secondo dati di Eurostat riportati dal Centre for European Policy Studies, il 3,1% della popolazione italiana adulta vive e lavora altrove nel mondo. È praticamente certo però che i numeri reali siano molto più alti, per il semplice fatto che molti italiani non cancellano la residenza prima di espatriare e dunque non sono catturati nelle statistiche.

Nel 2017 secondo l’Istat 14.200 sono andati in Germania, ma l’istituto statistico tedesco Destatis ne ha registrati in arrivo quattro volte e mezzo di più. Sempre secondo l’Istat 22 mila italiani sono andati in Gran Bretagna due anni fa, ma il governo di Londra ne ha contati più del doppio. Per la Spagna, i numeri degli emigrati italiani del 2017 sono ottomila fotografati dall’Istat e più di ventimila contati dalle autorità a Madrid. Anni di opportunità scarse e malpagate — o di maggiore dignità sul lavoro altrove — stanno scavando così un trauma non solo nei giovani: anche negli amici e nei genitori che restano ad aspettarli. Rispondere proibendo i deflussi non ha mai funzionato e infatti nel 1989 innescò il collasso l’intero blocco del socialismo reale. Ma mettere la testa nella sabbia di fronte alle paure reali degli italiani e di tanti milioni di europei non è sicuramente una ricetta migliore.

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